KENE è un luogo di didattica, di cooperazione, e conoscenza, che forma i giovani del Mali grazie al potere della fotografia. “Con i corsi, il materiale e le macchine fotografiche, forniamo ai ragazzi di Kanadjiguila gli strumenti per raccontare anzitutto se stessi e il loro mondo”, spiega Mohamed Keita. La fotografia si fa scambio, restituzione, ascolto, partecipazione, ma anche opportunità di lavoro.
“Il 15 luglio del 2017 sono volato a Bamako per avviare la costruzione dei locali e le attività di formazione. Il primo mese l’ho passato perlopiù ad affittare macchinari, assumere manodopera e fare lavori pesanti.
La mattina io e alcuni dei ragazzi più grandi andavamo a prendere l’acqua e trasportavamo i mattoni per contribuire ai lavori di muratura, alla posa del tetto e della pavimentazione dei locali. Due piccole stanze senza servizi che si affacciano all’interno di un compound.
Il pomeriggio individuavo i ragazzi interessati a partecipare e facevo formazione in un altro spazio. Il gruppo si è formato gradualmente, mentre il laboratorio
cresceva e attirava l’attenzione della comunità. Inizialmente ho coinvolto due assistenti – Seydou e Namakan – e cinque studenti: Adama, Barou, Boukari, Ladji e Moussa. Con il passare dei giorni se ne sono aggiunti altri cinque: Boubakar, Noumadi, Amadou, Narama, Makan. A settembre abbiamo ricevuto la visita di John Muruiri, un educatore che lavora da trent’anni in Kenya con i ragazzi di strada. Ci ha aiutato a organizzare le attività formative e di comunicazione del progetto.”
Ho spiegato che nella fotografia la curiosità è importante ma da sola non basta. Serve la volontà di scoprire, l’impegno, il tempo di fare le cose bene. Ho cercato di costruire con loro una relazione basata sulla fiducia, senza mai evidenziare le differenze tra chi è avanti e chi è indietro, per dare a ognuno il giusto tempo di imparare.
Mohamed Keita
“Ho trasmesso il valore del lavoro di squadra, l’importanza di evitare atteggiamenti di superiorità, perché il modo corretto di educare è quello di far vedere ciò che non si vede. Ho chiarito che avrebbero dovuto condividere con altri ragazzi quanto stavano imparando, come stavo facendo io con loro. Una volta comprese le basi, abbiamo iniziato a fare pratica. Ogni venerdì e sabato si esce tutti insieme nel quartiere.
Per non ridurre il campo non decidiamo un tema iniziale o un luogo da dove partire. Lasciamo ai ragazzi la libertà di scegliere ciò che vogliono raccontare. Ogni tanto, per stimolarli, li divido in due gruppi e li faccio gareggiare. Vanno a fotografare in due punti diversi e quando tornano scelgo tre foto da ciascun gruppo chiedendo di giudicare a una terza persona. Poi rivediamo le immagini insieme e parliamo di quelle scartate per capire che cosa non ha funzionato. Io conduco la selezione, in modo da trasmettere il mio punto di vista, ma la scelta finale viene fatta a maggioranza.
Da quando abbiamo completato la costruzione, spesso i ragazzi si fermano a dormire nel laboratorio.”
Un’immagine realizzata da Moussa Keita, uno degli allievi.
KENE assume le sembianze di uno spazio-casa-macchina fotografica, in cui si cresce insieme come una famiglia